Dal 6 aprile al 18 luglio 2004 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ospiterà la mostra Alighiero Boetti. Quasi tutto , dedicata ad uno degli artisti più influenti del secondo dopoguerra.
A dieci anni esatti dalla scomparsa dell’artista, Giacinto Di Pietrantonio, Direttore della GAMeC e Corrado Levi, si confrontano con la figura di Boetti, “Allestire una mostra su Boetti” – sostiene Di Pietranonio – “significa fare il punto non solo sull’artista, ma sulla nostra stessa contemporaneità, che Boetti ci ha proposto come antiretorica e anticelebrativa. Egli ha inventato un modo di procedere e di lavorare a cui molti hanno guardato, nell’arte – pensiamo alla cultura postmoderna, all’esempio di Francesco Clemente – così come nella vita più in generale – pensiamo a quanto siano attuali le sue indicazioni sull’oriente, alla sua frequentazione dell’Afghanistan, dove si recava per far realizzare i suoi arazzi”.

Ecco il punto. Alighiero Boetti è un artista di estrema attualità . Le tematiche da lui affrontate nell’arco della sua intensa carriera, a partire dalla fine degli anni ’60 alla metà dei ’90, sono oggi al centro di un dibattito che coinvolge tutti gli aspetti della società contemporanea: dal concetto di complessità al rapporto con l’Altro e lo straniero, fino al superamento dei confini e il ruolo della comunicazione nella civiltà della riproduzione.
Boetti ha percorso questi temi in maniera trasversale utilizzando supporti e tecniche diversi. L’originalità della sua espressione artistica si esterna anche in questo: osservando i suoi lavori si possono identificare serie completamente uniche, differenti le une dalle altre, quasi fossero state concepite da più personalità artistiche. Dietro tanta varietà creativa esiste, però, un preciso filo conduttore che lega e identifica la sua produzione. L’atteggiamento artistico di Boetti supera la concezione modernista di “stile” come fattore che identifica ciascun artista in contrapposizione agli altri grazie ad una serie di connotazioni formalmente riconoscibili. Nel caso di Boetti Di Pietrantonio e Levi parlano di uno “stile libero”, di una libertà nell’utilizzo di strumenti e tecniche differenti che ha anticipato quell’atteggiamento – divenuto poi tipico della pratica artistica a partire dall’inizio degli anni ’90 – improntato all’uso trasversale dei più diversi media, dalla pittura al video, dalla scultura all’installazione.
L’attualità di Boetti risiede anche in questo: nella sua capacità di superare in maniera semplice i confini – non solo mentali ma anche geopolitici – e di utilizzare se stesso come punto di partenza del suo lavoro.
La soggettività è un tema largamente esplorato in molte delle opere in mostra: in un’epoca come la fine degli anni ’60, in cui il dibattito su come la produzione seriale modifichi la nostra percezione del mondo viveva un momento di massima vivacità (pensiamo alla Pop Art in America, Inghilterra e Italia), l’artista mette in relazione il concetto stesso di individualità con l’idea di copia, riflettendo sulle potenzialità e i limiti della ripetizione e sui concetti di originalità, espressione individuale e riproduzione.

Alcuni lavori seminali all’interno del suo percorso e presenti in mostra – pensiamo a AW : AB = L :MD (Andy Warhol: Alighiero Boetti = Leonardo : Marcel Duchamp) , 1967; Gemelli , 1968; Io che prendo il sole a Torino il 19 gennaio 1969 , 1969 ; Autoritratto Xerox e I am am – nascono dall’assunzione del corpo e dell’identità stessi dell’artista come origine dell’opera. Nonostante ciò Boetti non ha mai utilizzato l’arte quale momento introspettivo, di ripiegamento su se stesso né di pura espressione individuale. All’interno di questa concezione la personalità dell’artista si fluidifica, non viene affermata in quanto unitaria e data ma si estende all’altro e al mondo intero, mentre l’arte diviene terreno di scambio reciproco.
La centralità dell’io di Boetti prende forza dalla sua capacità di delegare. Uno degli aspetti maggiormente conosciuti del lavoro di Boetti è, infatti, quello legato alle opere la cui realizzazione è stata commissionata a terzi: alle tessitrici afgane per quanto riguarda le mappe e gli arazzi; agli studenti delle Accademie d’Arte per i lavori Biro o ai suoi collaboratori per i ricalchi delle Riviste ; tutte serie di lavori di cui in mostra vengono presentati diversi esemplari. Per un artista che, tra l’altro, ha posto se stesso quale punto di partenza per molti dei suoi lavori, questo può essere considerato un controsenso. Eppure Boetti ha fatto proprio del rapporto con la delega uno dei centri del suo operare, in modo da sottolineare come l’identità dell’artista si costruisca attraverso l’interazione con l’altro, attraverso la condivisione. Quella dell’artista è una condizione dialettica tra individualità e collettività, originalità e serialità, io e mondo.
Anche l’eterogeneità cha caratterizza il linguaggio dell’artista è un indicatore dell’attualità del suo lavoro: una mescolanza di tecniche che va dalla cultura millenaria dei tessitori afgani al collage, dalla fotografia al disegno all’impiego di materiali industriali in scultura, fino alla parola e alle tecniche di riproduzione seriale. Tutto il lavoro di Alighiero Boetti può essere compreso alla luce della sua attenzione verso la vita come campo di comunicazione: la sua è una riflessione di ampio respiro che indaga la funzione espressiva dell’arte, il suo significato all’interno della società, i modi in cui gli uomini appartenenti alle più diverse culture danno forma e senso al mondo, i sistemi attraverso cui essi comunicano queste rappresentazioni del reale…
Non è un caso, infatti, che la sua attenzione si sia tante volte focalizzata sui sistemi alfabetici, linguistici, numerici e classificatori, in una stretta connessione tra scrittura e immagine.

LA MOSTRA
Alighiero Boetti. Quasi tutto riunisce oltre cento opere dell’artista, a partire dagli esordi nell’ambito dell’Arte Povera verso la fine degli anni ’60 fino agli inizi del 1994, anno della sua scomparsa. Il progetto espositivo, curato dal direttore della GAMeC Giacinto Di Pietrantonio e Corrado Levi, presenta un’ampia selezione di opere che coprono l’intero arco della sua produzione privilegiando, però, un rapporto molto stretto tra spettatore e singola opera, al di là di qualsiasi approccio cronologico o tematico. Una scelta curatoriale, questa, ispirata direttamente all’opera di Boetti che, nella sua interezza, supera questa dicotomia tematico-temporale e, elaborando continuamente tematiche “vecchie” e “nuove” in parallelo, fa coesistere sullo stesso piano tempi e culture distanti.
L’intento è quello di concentrare l’attenzione dello spettatore sulla singolarità di ciascuna opera e far sì che lo spettatore, entrando in contatto con essa, possa pensare mentre attraversa le sale del museo, allestite secondo il principio del largo respiro dato ad ogni singolo lavoro.
Il percorso della mostra, quindi, tenta di riprodurre la libertà e la leggerezza che contraddistinguono la sensibilità dell’artista, concentrandosi sulla dimensione “a parete” e privilegiando quelle opere dove il tratto personale dell’artista e la cui produzione non è stata demandata ad altri.
A fianco a questa modalità espressiva incentrata sull’esecuzione personale di Boetti (e che contraddistingue serie di lavori come , i disegni dei primi anni sessanta, Tra sé e sé, Fregio della Biennale di Venezia del 1990 ecc.), troviamo alcuni lavori storici dei suoi esordi, come le sperimentazioni della seconda metà degli anni ’60 sull’uso di materiali industriali e sull’accumulo e la ripetizione come modalità di produzione estetica (pensiamo a Zig Zag , 1966; Mimetico , 1966; Frou Frou e Fagus , 1966; Senza Titolo (metro cubo) , 1967; Niente da vedere, niente da nascondere, 1969).
La mostra, inoltre, presenta una serie di classici della produzione boettiana – come Storia naturale della moltiplicazione , Cimento dell’armonia e dell’invenzione , alcuni esempi di noti arazzi come mappe e testi ricamati, grandi lavori biro ecc. – affianco ad opere meno note o inedite e che approfondiscono la conoscenza dell’artista in direzioni meno usuali. Tra tutte, spicca la cartella composta da 82 tavole autografe in cui Alighiero Boetti ha riassunto un’ampia parte del suo lavoro, miniaturizzandolo e rendendolo trasportabile come un immaginario schedario della propria vicenda artistica.
A partire dal mese di settembre una parte della mostra verrà ospitata presso la Fundación PROA di Buenos Aires.