Dal 7 ottobre 2016 al 15 gennaio 2017 la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta una personale dedicata a Fabio Mauri (Roma, 1926–2009), tra gli artisti più rilevanti della scena italiana a partire dagli anni Sessanta.

Maestro della Nuova Avanguardia Italiana e fondatore di alcune delle riviste più interessanti e programmatiche che alimentarono il dibattito in quegli stessi anni, Mauri interagì con figure del calibro di Italo Calvino, Umberto Eco e Pier Paolo Pasolini, e intraprese una ricerca artistica che si interrogava e permetteva al pubblico di interrogarsi su alcune questioni centrali della nostra esistenza e cultura, soprattutto sull’utilizzo del linguaggio quale meccanismo manipolatorio da parte del potere politico e mediatico.
Fin dall’inizio della sua produzione, infatti, il lavoro di Mauri si concentra attorno al dibattito sulla cultura dell’immagine e del linguaggio come mezzo di consumo dell’industria culturale, essedo l’artista, per lui, non un semplice “fabbricante di immagini”, ma un intellettuale in movimento, capace di esprimersi nel mondo; un concetto, questo, da cui prendono forma la sua poetica e l’intera sua opera.

Il percorso espositivo, sviluppato in quattro saleannovera alcuni lavori storici degli anni Sessanta e Settanta, opere degli anni Novanta e dei primi anni Duemila che includono installazioni, fotografie, oggetti, opere su carta e tracciano un excursus esaustivo della ricerca artistica di Fabio Mauri; una selezione di opere volta ad abbracciare cinquant’anni di lavoro dell’artista, presentando al pubblico alcune tematiche fondanti della sua poetica: Diritti, Identità, Ideologia, Linguaggio, Narrazione e Tempo.

Tra questi, i lavori su cui campeggia protagonista la scritta “FINE” o “THE END”, un termine che Mauri ha utilizzato più volte negli anni – a partire dalla fine degli anni Cinquanta – e in varie declinazioni tipografiche, con l’intento di sottolineare un diverso aspetto estetico formale che profetizza l’idea di crisi, vista non come un elemento negativo, bensì come un’opportunità per chiudere con il passato e affacciarsi a un nuovo inizio.

Un’opera che affronta il tema della libertà d’espressione – altro elemento caratteristico della ricerca di Mauri – è Linguaggio è guerra (1974), un’installazione monumentale che si compone di oltre cento immagini fotografiche riguardanti le guerre del Novecento, tratte da riviste inglesi e tedesche.
Attraverso la presenza, su ciascuna fotografia, di un timbro con la scritta “Language is war”, le immagini mettono in evidenza come il linguaggio estetico sia usato quale mezzo per perseguire una guerra ideologica: questo risulta infatti essere un’arma, e diviene sinonimo del termine guerra. Infatti, per Mauri, come per il filosofo Friedrich Nietzsche, tutto è linguaggio, ovvero la realtà non esiste se non in forma di linguaggio e dunque di interpretazione della realtà stessa.

In questa direzione, la mostra presenta la serie Le grandi carte (1994), opere fotografiche di grande formato che sintetizzano alcuni tra i lavori più famosi della sua produzione, e costituiscono quindi una memoria narrata di tutto il lavoro dell’artista. Tra queste, le carte raffiguranti la performance storica Ebrea (1971), sul tema della discriminazione razziale e sulla memoria dei campi di concentramento, o Muro Occidentale o del Pianto (1993), emblema della divisione del mondo, dell’esilio, della fuga, dell’esodo forzato.

E ancora, gli oggetti che sono stati i protagonisti della mostra Ariano (1995), che si è formata gradualmente quale complementare di Ebrea. Un progetto che intende mettere in luce la categoria dei non perseguibili attraverso lapresentazione di oggetti d’uso comune che non ispirano memoria di dolore, ma che fanno trapelare uno spirito non caritatevole verso chi ha assunto l’identità “ariana” quale segno di sicurezza, verso il razzista, verso il borghese che tutela esclusivamente i propri interessi.

Cina ASIA Nuova (1996) è un’opera composta da un muro di valigie di metallo molato realizzate in Asia che al proprio centro, attraverso uno schermo, ci mostra una serie di avvenimenti legati all’evento storico di Piazza Tienanmen: l’espressione sconvolta di un giovane uomo qualche minuto prima dell’esecuzione capitale e, nella parte posteriore del muro, in trasparenza, i volti dei giovani soldati del plotone d’esecuzione, il cui sguardo è ugualmente sconvolto dalla terribile vicenda che si trovano a vivere.
Il muro di valigie e le immagini sono testimonianza del fenomeno asiatico con cui ci stiamo confrontando negli ultimi decenni, sia dal punto di vista delle problematiche esterne nel rapporto Oriente/Occidente, sia rispetto alle questioni interne relative alla libertà d’espressione, tema su cui Mauri torna a concentrare la propria attenzione.

Completano il percorso la serie Studenti (1992), quadri di piccole dimensioni che presentano ritagli di esercitazioni scolastiche, realizzati con materiali eterogenei quali carta, legno, gomma e soprattutto piombo (elemento alchemico e metaforico, sovrano del buio, della morte e del tempo che passa), e la serie Autobiografia come teoria (1997-1998), che mette in evidenza il concetto di “oggetto” per Mauri, che è, per prima cosa, un segno e non semplice merce di consumo.