Dal 31 maggio al 19 agosto 2007 la GAMeC e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo presentano al pubblico una mostra dedicata a Gianfranco Ferroni (Livorno 1927 – Bergamo 2001) nella sede di Palazzo della Ragione in Città Alta. La personale, a cura di M. Cristina Rodeschini (Direttore d’Istituto della GAMeC), Marco Vallora (storico e critico dell’arte) e Marcella Cattaneo (Curatore GAMeC), nasce da un progetto concordato tra le città di Milano e Bergamo e si sviluppa lungo un percorso espositivo che coinvolge due sedi: Palazzo della Ragione a Bergamo e Palazzo Reale a Milano.
A sottolineare il fascino della ricerca artistica di Ferroni concorre il suggestivo allestimento progettato appositamente dall’architetto Mario Botta.
Da segnalare che in questo percorso “ferroniano” si inserisce anche la Sala Manzù della Provincia di Bergamo dove, fino al 1° luglio, rimarrà esposto il dipinto Le donne di Marcinelle, realizzato nel 1956-57 evocativo della tragedia del 1956 nella miniera belga e simbolo del sacrificio dei nostri emigranti.

Attraverso un’antologica composta da oltre cento opere (tra olii, incisioni e fotografie) che ripercorre le tematiche care a Ferroni, la GAMeC ha scelto di fare il punto sulla ricerca di un artista particolarmente legato a Bergamo, città nella quale ha vissuto e lavorato per due decenni – proprio nei pressi della Galleria – e le cui opere arricchiscono oggi numerose collezioni private della città.
Dopo una sperimentazione da autodidatta, Gianfranco Ferroni approda ad una poetica sofferta e impegnata. Nato a Livorno nel 1927, ancora giovane è segnato dalla dura esperienza della guerra. Dal 1944 si trasferisce a Milano e si avvicina al mondo artistico di Brera: sono anni di inquietudine ed insoddisfazione alla ricerca di uno stile proprio. Le sue prime opere di rilievo si muovono in una direzione espressionista che, attorno alla metà degli anni Cinquanta, sfocerà in quel “realismo esistenziale” – condiviso da artisti quali Banchieri, Ceretti, Cremonini, Guerreschi, Romagnoni, Sughi, Vaglieri, Vespignani, Bodini – incentrato violentemente sul tema della condizione umana e svincolato da ogni forma di prevaricazione ideologica, dove diventa evidente l’influenza stilistica e tematica di artisti come Bacon, per esempio nel moltiplicarsi e deformarsi dei profili del volto, Giacometti, nel consumarsi delle figure, e Wols, nei grovigli informali delle vedute di città. A partire dai primi anni sessanta la pittura di Ferroni si avvicina alla cultura pop e nei suoi lavori è evidente una serrata dialettica tra disegno, incisione e pittura, unita al suo impegno sociale e all’attenzione per la resa dello spazio diviso in sezioni e campiture cromatiche – dove si collocano sequenze differenti di un racconto esistenziale. E’ in questa fase che iniziano ad emergere i suoi temi più ricorrenti: Madre, la cittadina di Tradate – ambiente da lui vissuto come una prigione, ma insieme luogo degli affetti più cari -, Rifiuti, Interni, Ambiente sconvolto, Racconto di situazione, Passione, Stanza ritrovata, Ritratto di Norge, Spettri, Autoritratto. E’ evidente un invito ad una più ampia riflessione sul senso del vivere umano attraverso la riproposta di situazioni di morte, tortura e alienazione.
A partire dagli anni Ottanta il suo percorso segna una svolta intimistica grazie all’autoritratto, filo rosso che aggroviglia la sua ricerca artistica ed esistenziale. Autoritratto che prenderà le spoglie di un ombra, del suo studio, del cavalletto, del suo lettino sfatto, degli strumenti o delle cose di ogni giorno sul tavolino da lavoro, delle stanze abbandonate. Nel pulviscolo grigio degli interni, filtrato dalla luce, l’indagine accurata di ogni più semplice e squallido particolare ci parla della necessità di immergersi, oltre l’apparenza, nella quotidianità più dimessa per tentare di afferrare la ragione ultima dell’esistere. Da sempre Ferroni nei suoi dipinti tenta di fermare nel tempo il ricordo facendo riflettere su ciò che è stato, senza tuttavia dimenticare che il senso della vita si può cogliere solo nello scorrere inarrestabile ed inafferrabile del tempo, nel generarsi e rigenerarsi dell’io e della realtà stessa nella compresenza tra presente e passato.
La mostra è realizzata con il sostegno di: Fondazione Banca Popolare di Bergamo onlus
Si ringrazia: Arkanz; Gualini; Horm; Punto Luce; Sia

SEDE PALAZZO REALE – MILANO

A Palazzo Reale circa 200 opere tra dipinti, disegni e opere grafiche dell’artista livornese di nascita ma milanese di adozione dialogano con alcune opere di altri autori, quali Umberto Boccioni, Otto Dix, Lucien Freud, Alberto Giacometti, David Hockney, Peter Blake, Antonio López García, Giorgio Morandi e altri, in grado di ricostruire tutto il suo percorso creativo.

Nell’ambito dell’iniziativa “La Bella Estate dell’Arte 2007”, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune Di Milano, dal 6 luglio al 16 settembre 2007 a Palazzo Reale, si tiene la mostra “FERRONI” che celebra una delle figure artistiche più interessanti del secondo Novecento italiano.

L’esposizione nasce da un progetto concordato tra le due città di Milano e Bergamo in cui Ferroni ha vissuto e lavorato e si sviluppa lungo un itinerario che coinvolge entrambi i capoluoghi lombardi: Bergamo, che gli dedica un’antologica a Palazzo della Ragione dal 1 giugno al 19 agosto 2007 e, appunto, Milano.

Il percorso espositivo prende inizio dai lavori degli anni Cinquanta, quelli ancora improntati a un realismo, anche ideologicamente schierato verso i dettami estetici del Partito Comunista, e che lo stesso Ferroni successivamente ricusò – portandolo a distruggere molte delle opere prodotte in questo periodo – soprattutto dopo l’ingresso delle truppe sovietiche a Budapest nel novembre 1956.
La mostra documenta tutte le tematiche più care a Ferroni, inquadrando il suo lavoro all’interno del panorama artistico internazionale. Per questo motivo, verranno presentate opere di Umberto Boccioni, Otto Dix, Alberto Giacometti, Antonio López García, Lucien Freud, con le quali si instaurerà un confronto visivo sulle influenze e gli influssi che Ferroni accolse per sviluppare la sua pittura.
Il ritratto che ne risulta non è solo quello di un artista di statura europea, sensibile alle influenze dell’arte internazionale, ma un personaggio colto, attento e aperto a suggestioni che gli provenivano ora dalla letteratura – Balzac, Robe-Grillet, Perec, – ora dal cinema – Dryer, Antonioni, Hitchcock – ora dalla musica – Webern, Debussy.

Nei suoi intenti, la mostra cerca di liberare Ferroni da categorie critiche che lo vogliono legato a un discorso puramente figurativo e avvicinarlo ad altri àmbiti, quale quello dell’arte concettuale. Non è un caso che l’esposizione si conclude idealmente con un’opera di Giulio Paolini, uno dei maggiori interpreti del concettuale italiano, che agli inizi della propria carriera ha guardato a Ferroni come a una figura di riferimento.

Accompagna l’esposizione un catalogo Skira, che presenta testi di Vittorio Sgarbi, Alberto Boatto, Silvio Lacasella, Valerio Magrelli, Franco Marcoaldi, Casimiro Porro e un intervista a Luca Ronconi di Marco Vallora.