Dal 6 giugno al 29 luglio 2007 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta la prima mostra personale che un museo dedica a Pietro Roccasalva. La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, è parte della programmazione di Eldorado, la project room che la GAMeC dedica ai più interessanti artisti emergenti della scena internazionale. Per l’occasione l’artista ha realizzatotre opere inedite che formano un’unica “situazione d’opera”, come lo stesso artista definisce le sue complesse installazioni in cui convivono pittura, scultura, video e tableaux vivant.

Le opere di Pietro Roccasalva (Modica, Ragusa, 1970) sprigionano un fascino misterioso, che nasce dalla combinazione tra ricerca formale e erudizione, bellezza e enigma. Al centro del suo lavoro c’è la pittura, la sua storia e le sue condizioni di esistenza nel nostro attuale paesaggio culturale fatto di riproducibilità, consumo e ideologia mediatica. In questo senso, l’artista conduce la sua indagine sulla pittura toccando figure chiave come il simulacro e la finzione, i sistemi di verità (dalla filosofia alla religione all’arte stessa), la continuità della tradizione e la trasgressione linguistica. Quello di Roccasalva è un mondo percorso da riferimenti multipli tanto alla filosofia antica quanto alle tradizioni popolari e alla cultura tecnologica e digitale, dove l’eccentrico sposa il banale, e il macabro incontra la farsa.

Per la sua mostra alla GAMeC Roccasalva ha concepito tre lavori inediti, tutti intimamente legati tra loro: un film in 35 mm., una scultura e un pastello di grandi dimensioni. Ciascun lavoro rappresenta un momento particolare, la fase di un unico percorso tra stasi e movimento, slancio dinamico, arresto e morte.
La mostra prende il titolo dal nome di una macchina usata in passato nell’industria cinematografica per produrre effetti speciali difficilmente realizzabili durante le riprese e, per questo, prodotti in fase di montaggio; la stessa utilizzata da Andrei Tarkovsky per creare il fermo immagine nel prologo dell’Andreij Rublëv (1969) da cui prende il via la pellicola in 35 mm che Roccasalva presenta alla GAMeC. Nel prologo del film originale, un contadino intraprende un volo in mongolfiera per poi schiantarsi sul suolo erboso dopo pochi minuti. L’ultimo fotogramma, che registra il momento dell’impatto, diventa nel lavoro di Roccasalva l’immagine fissa che si ripete per tutta la durata del suo film – corrispondente alla durata del prologo di Tarkovsky – mentre il sonoro in lingua originale scorre senza modifiche.
Il negativo di quel fotogramma balza indietro al posto del pallone aerostatico, contaminando a ritroso tutta la pellicola e l’intera mostra che, in questo modo, si configura come un “fuori campo” di ripresa. Quella che è un’anomalia del montaggio cinematografico e, quindi, dello sviluppo del racconto, genera una sovrapposizione di movimento, arresto e caduta che si riverbera su tutte le opere in mostra.

Nello stesso spazio dove è allestito il film, si trovano una scultura e un grande quadro, quasi fossero l’elemento femminile e maschile di una coppia di simulacri che assistono a questa anomala proiezione cinematografica. Entrambi i lavori mettono in scena uno specifico stato di tensione e uno stadio particolare del dinamismo e della metamorfosi. Nel descrivere questa parabola in tre atti, Roccasalva disegna tre diverse configurazioni formali di uno stesso moto: quello ascendente, discendente e rovinoso del contadino nel prologo dell’Andreij Rublëv. A questa figura di Icaro improvvisato, si contrappone l’uomo ritratto nel grande quadro che occupa la parete di fondo dello spazio espositivo: un ascensorista, personaggio ricorrente nell’iconografia dell’artista, figura kafkiana del passaggio e della metamorfosi. La scultura, dal canto suo, evoca il momento di massima tensione di un’asta per il salto in alto, colta anch’essa in una fase di arresto. L’interruzione del movimento causata dallo schianto nel film di Tarkovsky, influenza l’intera “situazione d’opera”, trasformando anche il quadro e la scultura in elementi di un orizzonte sul punto del collasso.

Insieme le tre opere formano l’immagine di un unico, terminale Déjeuner sur l’Herbe, la degenerazione di una scena bucolica in apocalisse.

Un particolare ringraziamento alla galleria Zero…, Milano per la collaborazione.